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Barbara Di Donato è piombata un giorno di un lustro fa a Vinci, quasi calata dall’alto, grazie ad amici del posto.
Si è subito innamorata dei luoghi e interessata alla gente, ai volti dei vinciani. Non è stata la prima, in verità. Anche in tempi recenti altri hanno sperato di incontrare negli sguardi di oggi i lineamenti delle donne raffigurate da Leonardo, scoprire le tracce e andare all’origine del genio nella sua terra d’origine. Barbara ha scelto una via originale, preferendo quel genius loci a cui anche Leonardo alla fine ha attinto parte della sua scienza.
Nata a Gallarate (VA), alla fine degli anni Sessanta, fotografa professionista e fototerapeuta, Barbara è un’esperta in scienze, metodi e poetiche della narrazione, collaborando fattivamente al gruppo di ricerca “Trame educative” dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca.
Co-ideatrice del metodo di ricerca bio-foto-narrazione, al suo attivo si ricorda la ricerca biografico-narrativa pubblicata nel testo “Andiamo ai Frati”, progetto che ha ottenuto il riconoscimento e il conferimento della medaglia del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Dalla sua esperienza vinciana è nata l’idea della mostra bio-foto-narrativa “Volti da Vinci. La terra di Leonardo si racconta attraverso le parole e i volti dei suoi abitanti” del 2022.
È tra i docenti dei percorsi autobiografici che si svolgono presso il Convento dei Cappuccini di Monterosso, nell’ambito di progetti congiunti con l’Università di Milano-Bicocca.
È stata di recente, ancora una volta, sul nostro territorio con una mostra fotografica personale alla Fornace Pasquinucci di Capraia dedicata all’autoritratto, un’occasione per intervistarla, sfruttando quel rapporto di amicizia che si è venuto a creare nel tempo, grazie anche a lunghe passeggiate nel territorio, alla ricerca e scoperta di luoghi da offrire al suo obiettivo.
Barbara, quando ti è nata la passione della fotografia?
La passione per la fotografia nacque da ragazzina intorno ai 14 anni.
In vacanza ad Amalfi, la città natale di mia madre, rimasi folgorata dalla fotografia di un’alba, scattata da un fotografo amico di famiglia. Iniziò da lì il forte desiderio di riuscire a realizzare io stessa un’immagine di così forte impatto emotivo. Uno scatto in grado di regalarmi all’infinito le emozioni provate davanti ad un’alba o alla natura in generale. Recuperai quindi una macchina fotografica degli Anni 40 appartenente a mio padre, difficilissima da usare e cominciai a sperimentare la fotografia cercando per prima cosa di riprodurre l’immagine che mi aveva incantata.
Nelle nostre camminate nella campagna e luoghi vinciani, alla fine, sembrava che quella realtà, per noi comune, fosse diversa dentro un obiettivo? È veramente così?
La fotografia è il medium con cui indago il mondo e me stessa. La macchina fotografica mi restituisce il mio sguardo all’opera. Come guardano i miei occhi? Cosa cercano? Cosa includono e cosa escludono? Attraverso l’obiettivo possiamo osservare la poetica del nostro sguardo e del nostro mondo interiore. Guardare è illuminare, dare luce alle cose, al mondo creato dal nostro sguardo.
Hai vissuto i luoghi di Vinci attraverso i volti dei vinciani: cosa hai letto nei loro occhi?
La poesia di occhi pieni d’amore per la propria terra, l’orgoglio di appartenere ad un luogo in qualche modo sacro e poi… la risorsa creativa, l’arte in tutte le sue forme. La passione e la conoscenza profonda del proprio lavoro. La gratitudine alla terra, alla campagna. E… tanto, tanto Leonardo.
Come vinciano (anche se mi ritengo più vinciarese, come si chiamavano una volta gli abitanti) c’è da essere orgogliosi, con un minimo di stupore, se permesso, come è già successo in recenti esperienze simili (basti ricordare la poetessa di Macerata che ci ha regalato un intero libro di liriche nell’ambito dell’ultima Festa della Poesia). Come scegli i soggetti delle tue foto artistiche?
Non scelgo, resto semplicemente in ascolto di un luogo, di una situazione, di una persona, di me stessa in quell’altrove; mi lascio sedurre, catturare rapire, perché sia possibile l’incontro tra me e l’altro, un incontro di anime capace di generare qualcosa di nuovo in entrambi.
Nella serie Autoritratti, che hai recentemente esposto alla Fornace Pasquinucci, che cosa distingue la foto da uno specchio? In cosa ti è servita la foto?
Nell’autoritratto avviene un ribaltamento di prospettiva. Non rivolgiamo più lo sguardo sul mondo, ma bensì su di noi. La macchina fotografica, l’obiettivo, sono rivolti verso noi stessi senza che ci sia modo di controllare la nostra immagine; nello specchio, invece, abbiamo il controllo totale della nostra immagine, decidiamo noi, attraverso l’espressione, la posa, come apparire ai nostri stessi occhi e questo risulta rassicurante. Ma è nella solitudine dell’autoritratto che possiamo scoprirci “altro” da noi: espressioni sconosciute, immagini in cui spesso non ci riconosciamo, possono diventare portatrici di possibilità. La pratica dell’autoritratto è una pratica molto antica sia in pittura che in fotografia e dai contenuti altamente simbolici.
Nella serie Autoritratti, portata in mostra alla fornace Pasquinucci, ho voluto indagare, esplorare, interpretare la pluralità di vite presenti dentro me ed attraverso il travestimento fotografico, affrontare gli stereotipi di ruolo che spesso il mondo esterno ci assegna.
La nostra identità non è mai ferma, ma in eterna evoluzione, anche se il mondo vuole a tutti i costi definirci.
Dopo i tuoi anni vinciani ti sei tatuata un nodo infinito leonardesco, ben visibile anche in alcuni recenti autoritratti. Cos’è per te il nodo oggi? Quale il suo significato?
Un nodo che lega per sempre Vinci a Leonardo e che ora lega in qualche modo anche me. Un triangolo d’amore sulla mia pelle, tra Vinci, Leonardo e me.
Che cosa ti ha lasciato Vinci nel cuore?
Penso che gli incontri d’amore ci cambino per sempre. Perché non si fermano nel cuore, ma vanno dritti nell’anima. Così io non sarò mai più la stessa. Ci sarà sempre nel mio modo di guardare, di fotografare, di vivere, la mia parte vinciana che mi accompagnerà nel mondo.
Grazie Barbara per la passione, l’entusiasmo, l’amicizia e quel nodo d’amore per la nostra terra. Il tuo lavoro ci spinge ancora di più a rispettare e salvaguardare questo patrimonio di storia e di bellezza, che si concentra nel paesaggio e nell’animo del luogo.
Basta saperlo guardare, così come ci hai spiegato e insegnato.
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