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Mi è capitato, una sera fra tante, di incontrare Vinicio, solito alla veglia del dopocena al circolo dell’Apparita.
Discorrendo, da poche domande nacque un’intervista e, fiero nel raccontarmi il costrutto della propria vita, a tratti sorseggiava un caffè corretto a sambuca, accomodato su una sedia anch’essa da lui costruita.
Vinicio nacque nel 1939 da padre originario di San Pantaleo, Ferdinando Cipollini (classe 1903) e madre lamporecchiana, Francesca Cei (del 1906), in una casa in piena campagna, ancora oggi abitata.
Per sua sfortuna e per quella di tutti, poco dopo la sua nascita i tedeschi invasero i nostri territori e, quasi come la totalità delle famiglie, fu costretto a sfollare altrove lasciando il posto ai forestieri.
La famiglia di Vinicio fu derubata di tutto ciò che aveva di materiale, compreso il bestiame, a quel tempo preziosissimo. Si diressero così a Tigliano, una frazione di Vinci sul Montalbano: due genitori, quattro figli e praticamente niente da mangiare. Soggiornavano in un freddo casolare ospitati dai parenti e, in una decina di persone o poco più, si arrangiavano e stringevano i denti nell’attesa che qualcosa volgesse al meglio.
Vinicio ricorda bene quei tempi. Nei suoi occhi si riescono a leggere le immagini tradotte in parole, istantanee come quelle delle bombe del secondo conflitto mondiale, sparate proprio dal monte e indirizzate verso Empoli. Lui le osservava dalla piccola finestra della soffitta, provando forse paura, o semplicemente curiosità, data la tenera età dei cinque anni che stava attraversando.
Racconta poi, orgogliosamente, di un gesto coraggioso della madre che, presa dalla rabbia e forse portata allo stremo dalla situazione che stava vivendo, si recò direttamente dai tedeschi invasori che avevano rubato loro il bestiame. Rivoleva ciò che era suo e andò a reclamare il maiale col quale avrebbero potuto camparci forse un anno, o poco più. La madre agì d’istinto e, armata del proprio carattere «frizzante», come sottolinea Vinicio, si scagliò contro il gruppo nemico, ma come ci si può immaginare, non ottenne altro se non una minaccia di morte istantanea. Fu così portata via e difesa dai compaesani, a quel tempo legati contro il male comune.
Un giorno, sempre durante il soggiorno a Tigliano, ricevettero l’annuncio della fine della guerra tramite la radio di un vicino: erano tutti in cerchio attorno a questo apparecchio al momento della notizia, come in una scena da film dove, anche se ridotti alla fame, si provava a respirare un lieto fine.
Riuscirono così a tornare alla propria casa a l’Apparita nel 1945, anno in cui Vinicio ricorda bene il fatto noto dell’assassinio di Luigi Pasqualetti a poche centinaia di metri dalla propria abitazione.
Vuole così rimarcare il fatto della fratellanza di un tempo, rammentando come dopo l’uccisione del padre da parte dei tedeschi, al figlio della vittima fu offerta forza lavoro da tutti per costruirsi casa; un gesto di solidarietà non da poco.
Gli anni a venire, dal 1952, furono sicuramente più sereni. A 13 anni, appunto, riuscì a trovare un’occupazione in una vetreria di Empoli, dove rimase fino alla maggiore età. Successivamente iniziò il mestiere che lo ha accompagnato fino a oggi, ovvero quello del falegname. Iniziò dal proprio parente Marchetti a Larciano e, dopo alcuni anni, passò a una ditta più grande, la Mazzantini di Sovigliana. Ricorda con piacere la vecchia moto Morini con la quale si recava a lavoro, ma ricorda con ancor più soddisfazione la mitica Vespa 50 Special rossa, tutt’oggi in suo possesso e usata quotidianamente. Acquistò lo storico mezzo Piaggio nel 1973 da un rivenditore di zona per la cifra di 100 mila lire: era già di seconda mano, ma «si presentava come nuova» (prima appartenente ad un cuoco che viaggiava pochissimo).
Nel 1989 si trasferì nella frazione della Stella, accompagnato da un fratello, due sorelle e due genitori ormai anziani. Racconta che il padre e la madre morirono entrambi di lì a poco. Successivamente il destino portò le due sorelle altrove, mentre Vinicio assieme al fratello minore Giulio continuano a risiedere nella casa-laboratorio dove, a visitarla, sembra che il tempo si sia magicamente fermato ai tempi d’oro degli anni ’90.
Vinicio è in pensione dal 2004, ma non ha mai smesso di dedicarsi alla sua passione e tutt’oggi si destreggia nell’arte del legno come pochi sanno fare. Fra le sue mani si riescono a leggere i segni di una vita trascorsa tra gli utensili e l’odore di coppale, spesa nel suo laboratorio a comporre vere e proprie opere d’arte: da qui il detto “I mobili di Vinicio si riconoscono da lontano”.
Dallo spirito giovanile, con la voglia di stare con le persone, il nostro mastro falegname conduce oggi una vita invidiabile per molti; non manca mai ad ogni evento collettivo organizzato dal circolo; a ogni compleanno, sempre certo di voler far tardi, va alla Casa del Popolo rigorosamente in Vespa, qualsiasi siano le condizioni meteorologiche.
Sfruttiamo così l’occasione per ringraziarlo della calorosa, imperterrita e instancabile presenza tra noi, a nome di tutto il circolo dell’Apparita.