tempo di lettura: 6 minuti
Molti si domandano cosa possa esserci alle origini del Genio e, magari, qualcuno, dedicare una vita intera a tale ricerca.
Questa potrebbe essere la storia, non soltanto professionale, di un grande studioso leonardista come Carlo Pedretti (1928-2018). Originario della provincia bolognese, nella sua carriera ha avuto il merito e l’onore di sedersi ed essere ospite delle più importanti cattedre universitarie del mondo, di essere omaggiato con titoli onorifici e cittadinanze onorarie. Nello scegliere le colline di Leonardo come sua ultima dimora, insieme alla moglie Rossana, ha fatto però una vera e propria scelta elettiva.
Un amore per il nostro territorio che si può dire ricambiato, immediatamente, dalla gente e, infine, anche dalle istituzioni locali. Qui ha voluto che nascesse la Fondazione a lui e alla moglie Rossana intestata, lasciando un segno tangibile della sua testimonianza.
Come sia nato questo amore speciale per Leonardo lo ricorda in un bellissimo volume edito nel 2008 da Mondadori “Leonardo & Io”.
Nell’introduzione il professore parla e trascrive l’intervista, tra le molte rilasciate, che maggiormente preferisce, edita nel 2003 su una rivista allora di limitata circolazione, nella quale racconta dei suoi esordi leonardiani, a tredici anni, quando riferisce, pur non essendo mancino, che “sapevo già leggere la scrittura rovesciata di Leonardo senza l’aiuto dello specchio. Sapevo anche scrivere e disegnare come lui”.
Rimasto affascinato, come ha raccontato altrove, da un libro acquistato su una bancarella nel 1941 con l’immagine di un mulino e alcune frasi scritte in quella strana calligrafia di Leonardo.
È stata quindi una bella sorpresa, alcuni anni fa, durante la preparazione delle «Cronache Vinciane», ritrovare tra i molteplici ritagli di giornale che la Biblioteca Leonardiana di Vinci conserva, in modo indifferenziato e raccolti per anno, uno eccezionale che riguarda proprio Carlo Pedretti, non il professore, bensì lo studente agli esordi.
Il giornalista ritrattista, Claudio Savonuzzi, in un articolo intervista pubblicato su il Giornale dell’Emilia Romagna del 13 febbraio 1952 dal titolo emblematico – “Appassionato di Leonardo, uno studente promette rivelazioni” – racconta l’incontro con il giovane studioso in una stanzetta dell’Archiginnasio di Bologna (la più antica biblioteca della città) tracciandone un simpatico profilo.
“Dica, dica pure” fece Pedretti, incrociando le mani sullo stomaco e buttandosi indietro sulla sedia, un poco annoiato e distante”. Durante l’intervista, annota il giornalista: “Le mani di Pedretti non si muovevano dal loro riposo sullo stomaco. Come un giovane prelato pieno di tatto e diplomazia… “ e “mentre seguitavamo ad ascoltare, Pedretti socchiudeva gli occhi, come gustando il sapore delle notizie che distillava” . “Con il suo viso paffuto da studente di prima liceo” si dichiara stufo di essere considerato sempre un po’ una sorta di enfant prodige (le cronache riportano che a sedici anni fu pubblicato il suo primo articolo sul Corriere della Sera): “È ora di smetterla con questa storia dei miei ventitré anni: di questo passo avrò ventitré anni anche fra mezzo secolo” sbotta. “Ma quanti anni ha, scusi?” – domanda l’intervistatore: “Ne ho compiuti ventiquattro il mese scorso”.
L’intervista è tutta – se così si può dire – alla Pedretti: una serie di battute, notizie distillate, scoperte incredibili che annuncia con un batter di occhi e poi rimanda, svelando qualche accenno per catturare l’attenzione dell’interlocutore, con uno spunto biografico personale importante, non riportato nelle sue ultime interviste: “Sono dieci anni che mi occupo di Leonardo. Cominciai a tredici anni: mio fratello si occupava di aeromodellismo, io di storia dell’aviazione. Allora mi firmavo ancora “Anairo”, oltre al mio cognome. “Anairo” è un anagramma: sta per Oriana. Un mio amore infelice, del quale volli ricordarmi. Ma adesso i miei articoli li firmo senza più Oriana”.
Carlo Pedretti, chino sui suoi libri e carte, mostra all’intervistatore il carteggio con il suo amico Möeller, vecchio leonardista germanico (per la cronaca è colui che ha scoperto la fede battesimale di Leonardo) e inizia un vero fuoco di fila di rivelazioni, alcune ancora oggi sensazionali.
“Sa che la casa natale di Leonardo, non è quella autentica? – Möeller dimostrerà che fu costruita quarantadue anni dopo la nascita del Genio. Leonardo nacque a Vinci, nelle case della famiglia materna. E c’è anche un’altra notizia sensazionale, almeno quanto questa. Ma non sono ancora autorizzato a dirle”. Pedretti anticipa la polemica scatenatasi sui giornali italiani del tempo sulla veridicità della Casa Natale di Anchiano, con un acceso scambio di tesi e documenti, conclusosi con il coraggioso saggio di Renzo Cianchi (“Sulla casa natale di Leonardo: risposta al prof. Emil Möeller”) e l’esclusione dello studioso tedesco dal Comitato Vinciano delle Celebrazioni del 1952. Non si sa però quale potesse essere l’altra notizia sensazionale, tutto lascia pensare che si trattasse di qualcosa legato alla “casa materna”.
Nel 1952 Pedretti sta lavorando alla mostra che Bologna dedicherà ai 500 anni della nascita di Leonardo “C’è molto da lavorare; e i critici, lascia capire Pedretti, le mani intrecciate sullo stomaco, non vogliono collaborare”. Si parla così del “dipinto di Parma, il Leonardo inedito”; della macchina per sollevare l’acqua che Leonardo disegnò in Francia per il Rucellai e che fu realizzata, come tiene a precisare; del codice Della Golpaja ritrovato alla Marciana di Venezia; delle attività di ingegnere svolte da Leonardo per il duca Valentino, di una testa di Cristo del Boltraffio ritrovata nei depositi della Pinacoteca di Bologna e, a suo dire, restaurata con la trementina in modo non adeguato; di un quadro smarrito, conservato fino al 1840 nella collezione Zambeccari di Bologna. Al termine di questo lunghissimo elenco torna comunque a quella “testa divina” di Parma. E sempre a proposito del patrimonio di quest’ultima città, lancia una sfida: “Non so se potremo avere per la mostra che si aprirà il 4 maggio (1952) nel Salone del Podestà anche la Sant’Anna del Louvre!” – il Pedretti ha sempre avuto il dono di pensare in grande – “Avremo comunque l’abbozzo di Leonardo della Pinacoteca di Parma. Lo so: i critici d’arte non credono che si tratti di un Leonardo. Potrebb’esserne una copia. Ma io la presento così, e sia quello che vuole. Che abbiano a lavorare anche i critici”.
Tutto ciò a dimostrazione – come molti hanno sottolineato – di un approccio estremamente eclettico al personaggio e all’opera di Leonardo, atteggiamento che talvolta gli ha procurato qualche critica. Certamente sarebbe stato più cauto nelle attribuzioni e studi degli anni successivi ma quella sua passione giovanile, incondizionata, mai tradita, verso il mitico Leonardo ha fatto sì che interpretasse con la sua vita e opera pienamente il famoso monito attribuito al Genio di Vinci: “Acquista cosa nella tua gioventù, che ristori il danno della tua vecchiezza. E se tu intendi la vecchiezza aver per suo cibo la sapienza, adoprati in tal modo in gioventù, che a tal vecchiezza non manchi il nutrimento”. Il tutto mantenendo grande rispetto per i propri interlocutori, anche i più polemici, ponendosi come usava dire “Servo dei servi di Leonardo”.
Tutto ciò mi fa pensare a un suo gesto che sinceramente subito non ho compreso. La sera del 9 settembre 2007, alla riapertura straordinaria della chiesa di San Pantaleo per l’evento “Caterina e San Pantaleo”, al termine della sua straordinaria lettura su “Omo con lettere” (di proposito sostituito al “sanza lettere”) rimase in fondo alla sala a osservare tutte le persone che si fermarono per firmare il “Libro d‘Onore”. Con estrema semplicità e generale cordialità attese fino all’ultimo, per apporre come ultimo degli ultimi, la sua firma che indelebile resterà nella nostra storia.