Vinci nel Cuore ricorda così Luigi Testaferrata, da poco scomparso, autore di un racconto su Vinci nella sua ultima pubblicazione.
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In foto: La Cappella Calistri (Foto Daniel Santucci I re obsoleti)
Il Montalbano potrebbe diventare un parco letterario? A mio avviso ne avrebbe tutte quante le caratteristiche, senza ricorrere necessariamente agli scritti di Leonardo oppure, a titolo di esempio, dello scrittore Renato Fucini, che ha vissuto il territorio in tempi più recenti. Il parco letterario costituirebbe per il nostro territorio un nuovo tipo di approccio a un turismo culturale e responsabile, attualmente monopolizzato da Leonardo, spostando l’attenzione verso la conservazione di altri e diversi beni culturali e ambientali, con particolare riguardo al patrimonio immateriale.
Il percorso in parte è stato iniziato, forse in modo inconsapevole, senza un progetto organico, per cui molto c’è ancora da fare. Segnalo, ad esempio, la promozione di manifestazioni finalizzate alla valorizzazione della letteratura orale (basti ricordare i nostri cantastorie e poeti a braccio) e scritta, delle cerimonie (il rito della Befanata lirica di Faltognano e del Montalbano dal 2017 è diventato patrimonio nazionale della Rete di cultura popolare valorizzando anche una piccola frazione collinare), delle tradizioni imprenditoriali (la storia e il mondo delle cosiddette “confezioni” ancora da approfondire; in tempi più remoti quello delle carciofaie cerretesi), artigianali (il ricamo del Montalbano, per secoli attività integrativa del reddito dei contadini, compreso quello degli uomini) ed enogastronomiche (la cucina lamporecchiana o di cacciagione del Padule e del Barco Reale). In questo contesto la salvaguardia e la valorizzazione dei luoghi dell’ispirazione letteraria possono diventare l’occasione per promuovere la conoscenza del paesaggio culturale nel suo complesso, quindi non soltanto lo scorcio naturalistico o la camminata festiva per esercizio fisico, bensì dei veri e propri percorsi narranti. In pratica, si tutelerebbero quei luoghi che, per la loro posizione o storia, comunicano le medesime sensazioni che hanno ispirato nel passato tanti autori (scrittori, poeti, pittori) per le loro opere.
Voglio offrire un esempio lampante che tutti quanti abbiamo sotto gli occhi: la cappella in località Calistri, che si trova lungo la strada che da Vinci conduce al bivio delle due strade che portano a Vitolini e a Sant’Ansano.
Mi è tornata prepotentemente in mente nel corso della presentazione empolese dell’ultimo libro di racconti “Le rondini della luna” (Ibiskos Ulivieri, 2018) del prof. Luigi Testaferrata, storico docente e preside del Liceo Classico di Empoli, fine e apprezzato scrittore (finalista al premio Campiello del 1980) e giornalista (da Il Giornale di Montanelli fino al Corriere fiorentino).
Lo scrittore in un racconto, “Io lei Vinci”, ricorda un bellissimo incontro con una giovane donna avvenuto in una mattina del gennaio 1944 quando sfollato a Sant’Ansano, a causa della guerra, raggiungeva in bicicletta Vinci che, dopo una curva, gli appariva nella sua bellezza, dietro la “Cappella delle Missioni”, la cappella del Calistri. A distanza di quarantotto anni, accompagnando sul posto un amico, l’autore empolese rivive con lo stesso batticuore, come fosse rapito da un incanto, l’apparizione della “figura della mia adolescenza accompagnata dalla figura dell’adolescenza di lei”.
Scrive infine il Testaferrata del Montalbano: “ho sempre saputo che questa mia piccola montagna conservava nascosta, sotto apparenze familiari che tutti i giorni ho potuto vedere, tastare, annusare come se fossero naturalmente mie, l’essenza della mia vita che ho sempre sentita stratificata, il presente dentro il passato, la realtà dentro la letteratura, il vero dentro l’immaginato, tutto chiuso in un duro, impenetrabile, guscio trasparente”.
Nello slancio quasi poetico trasforma questo piccolo monte nel suo «Olimpo». Espressione con la quale già un altro scrittore, di origini pistoiesi, Bruno Bruni, definisce il Montalbano in alcune delle sue più importanti liriche, l’Olimpo Etrusco (liriche recentemente riprese dall’Archivio dei Poeti di Vinci, Vinci nel Cuore, 2013). Ma quello che veramente mi ha meravigliato è rileggere, seppure con parole diverse per stile e periodo storico, quell’identica ascesa da Sant’Ansano alla Cappella, tra il Calistri e il Lunardi, negli scritti di un mostro sacro della letteratura internazionale del primo Novecento, il russo Dimitri Mereskovskij (a suo tempo segnalatomi anche dalla saggista e scrittrice Margherita Pieracci Harwell), da qualcuno definito – per meglio comprendere la portata del personaggio – il Dan Brown del suo tempo. Nel romanzo del 1901 “Leonardo da Vinci” (ripubblicato da Giunti Editore nel 2005) con la sua scrittura fa percorrere al protagonista lo stesso tragitto raccontato dal Testaferrata. Leonardo da Vinci, ormai uomo maturo, ritorna al paese natale passando dalla parte della cappellina: “Il terreno diveniva più aspro. La salita si faceva sentire, lenta ma continua. Si respirava più facilmente. Il viaggiatore aveva ormai superato Sant’Ansano, Calistri, Lunardi e la cappella di San Giovanni… Improvvisamente, a un’ultima svolta del sentiero, apparve il villaggio di Vinci. Ormai ogni traccia di piano era scomparsa: la pianura s’era fatta collina, la collina montagna. Appunto addossato a una collina sorgeva il villaggio, minuscolo, compatto, biancheggiante di pietra. Nel cielo ormai cupo svettava lieve e sottile la torre di un’antica fortezza. Qualche pallida luce rischiarava qua è là le finestrelle delle casette”.
E anche qui c’è l’apparizione, all’improvviso, di una donna in preghiera sotto l’immagine di una Madonna in terracotta, al punto da far esclamare al protagonista Leonardo: “Caterina!” ovvero il nome della madre morta nella storia da alcuni anni. Bellissimo, scusatemi l’enfasi, questo accostamento letterario tra i due autori. Il romanziere russo venuto a Vinci alla fine dell’Ottocento probabilmente si era innamorato di quella vista al punto tale da retrodatare – un vero falso storico con licenza letteraria – l’ottocentesca cappella del Calistri all’epoca di Leonardo. Magia dei luoghi, come dimostra la recente opera del Testaferrata. Ma non finisce qui. Mi ha segnalato Emanuele Giraldi, giovane appassionato dei luoghi e abile restauratore (ha lavorato recentemente anche alla Chiesa della Natività di Betlemme), che gli anziani del posto gli hanno narrato che sul tetto della cappellina del Calistri, oggi decadente, un poeta di Vinci andava a cacciare gli uccellini, per vincere la fame, al punto che un giorno impaurito della sua ombra cadde e impazzì. È una leggenda popolare che ci riporta tuttavia a uno dei personaggi più belli e poetici dell’ultimo scorcio del XIX secolo, ovvero alla figura di quel Leopoldo (Poldo) Pieri, il più importante poeta “vinciarese” del tempo, che viveva proprio nella valle sottostante assieme ai suoi numerosi fratelli, tutti quanti poeti “canterini”.
Questo ameno luogo, che si trova al crocevia di due sentieri, come ricordano gli scrittori, oggi è in stato di grave abbandono. Eppure per secoli è stato luogo di passaggio obbligato per tutte le processioni che da Vinci volgevano all’antica Pieve di San Giovanni Battista di Sant’Ansano (ricordate negli Statuti fin dal XVI secolo), motivo per il quale probabilmente veniva scelto anche per la costruzione della Cappella. Dispiace quindi vederla in questo stato di abbandono (il tetto rovinato, infissi squartati, senza cura) seppure resti ancora una vista obbligata per chi vuol raggiungere Vinci da levante. Ho sempre pensato che per l’architettura e la natura del luogo, “incantato” come sottolinea la licenza letteraria, potesse diventare per Vinci quello che è attualmente la cappella della Madonna di Vitaleta per l’immagine della Val d’Orcia, un luogo consacrato più dai fotografi e dai tour operator che dalle feste religiose. Un’opera di restauro dell’edificio è improcrastinabile. Forse l’idea di un parco letterario, così come per altre simili emergenze del territorio, potrebbe essere d’incoraggiamento per qualche mecenate. Essenziale soprattutto per riqualificare il luogo, ricorrendo, come appena ricordato, anche alla cosiddetta cultura e patrimonio immateriali. È indubbio che il “pubblico” debba però fare la sua parte, nei modi e nelle forme più opportuni, se del caso destinando aiuti e sostegni ricorrendo anche a minime percentuali degli odierni finanziamenti e introiti museali, oppure con mirati sgravi fiscali a chi eventualmente si voglia fare carico degli oneri di restauro. Le risorse culturali, storiche e naturali di una comunità sono uniche e insostituibili, anche se appartengono al privato. Nei nuovi piani di sviluppo del turismo, il “paesaggio culturale” – compreso quello letterario – è sempre più messo al centro dell’attenzione generale, richiedendo un’attività di salvaguardia, ma soprattutto una politica condivisa di recupero e di tutela. Come altrettanto importanti sono la riscoperta e la valorizzazione delle tradizioni locali che del territorio raccontano la storia, aspetti tutti quanti ben caratterizzati nella piccola cappella, oggi abbandonata, del Calistri, una «tappa obbligata» di un auspicato e futuro Parco letterario del Montalbano.
Nicola Baronti