Un curioso aneddoto e un racconto legati al Volo di Cecco Santi del 1861.
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La torre del castello dei Conti Guidi per la recente festa del 2 giugno 2020 è stata di nuovo abbellita con ben quattro Tricolori per celebrare la Festa della Repubblica. Una bella fotografia è d’obbligo. L’evento però ci riporta alla mente una tradizione antichissima e un racconto della raccolta “Acqua Passata” di Renato Fucini. Lo scrittore probabilmente ha fatto un po’ di confusione. Come suo vezzo, su precisi fatti storici forse ci ha inventato una storia, contraffacendo nomi e nascondendo situazioni imbarazzanti.
Nella sua versione, il campanaro di Vinci, per sventolare il vessillo tricolore in occasione della fuga del Granduca (27 aprile 1859), sarebbe caduto dalla torre e avrebbe sfondato il tetto di un’abitazione sottostante, sarebbe atterrato nel letto di un vecchietto, senza riportare ferita alcuna. Dice il Fucini, da buon anticlericale, che si trattò del “miracolo del Tricolore”, sottolineando che il fatto veniva ripreso anche dalla stampa nazionale. Sicuramente di diverso avviso era la schiera di preti che allora si aggiravano per Vinci (una “pittoresca borgata con una popolazione di circa trecento anime, fra le quali diciotto preti”, ebbe ad annotare lo scrittore nella sua autobiografia) attribuendo il miracolo al SS. Crocifisso e ambientando il racconto – secondo un manoscritto di Don Quirino Giani conservato in Biblioteca Leonardiana – durante il volo di Cecco Santi del 1861.
In effetti, a quel tempo il Volo era una festa “sacro-profana”, organizzata dalla Compagnia del SS. Crocifisso per la festa della SS. Trinità. Un piccolo quadretto commemorativo di tale miracoloso evento, nei modi di un ex voto, è conservato nell’archivio parrocchiale. Fino agli anni Trenta del secolo scorso era esposto in Chiesa presso l’altare del SS. Crocifisso. Per chi ha avuto modo di osservarlo, sulla torre di Vinci è in bella mostra un pennone dal quale sventola il Tricolore, così come ricorda il Fucini. Se poi andiamo a individuare il personaggio, Don Quirino riporta nome e cognome, Filippo Fabbrizzi detto “Millo”, mentre il Fucini si limita a riportare il soprannome Millo e la qualifica “campanajo”. Si tratta indubbiamente dello stesso personaggio che, come ho avuto modo di verificare è esistito davvero.
La famiglia Fabbrizzi, di fabbri e armaioli, abitava due stanze poste a pian terreno dell’antico Palazzo Pretorio di Vinci fin dal 1830. Nel 1839 Paolo di Zenone Fabbrizzi, assieme a Vincenzo Fabbrizzi e Lorenzo Perini, faceva domanda per ricoprire l’incarico di moderatore del pubblico orologio e “suonatore della campana”. Incarico che otteneva, oltre a quello di spurgatore e ripulitore della pubblica vasca a uso di abbeveratoio per cavalli. Tutto ciò si ricava da varie richieste di denaro per lavoro straordinario dal medesimo presentate al Comune. Nel corso dell’adunanza del 29 dicembre 1860, veniva discusso della ricompensa straordinaria in suo favore per avere più volte alzato la bandiera nazionale sulla torre in occasione delle tante feste nazionali dell’anno 1859 e, nell’adunanza del 19 gennaio 1861, per avere assicurato l’asta della bandiera dello Stato sulla torre.
Entrambi gli autori cadono però in errore in quanto, al tempo, Filippo detto Millo non era il campanajo “ufficiale”, bensì il suo figliolo, all’epoca già sposato con Assunta e un figlio di tre anni. Curioso l’aneddoto però della richiesta di una gratifica economica per innalzare il tricolore sulla torre e assicurare la stabilità del pennone (considerato il vento che di solito tira da queste parti). Se sia stata concessa poco importa. Una cosa è certa: in quel periodo il Tricolore sventolava di continuo sulla torre di Vinci. La cronaca della festa dell’Unità d’Italia del 2 giugno 1861, che poi coincise con quella dello Statuto (la stessa data dell’odierna festa della Repubblica), è il racconto di un tripudio tricolore non soltanto dalla torre, ma dell’intero paese. Non si tratta però di una speciale occasione per l’attento cronista, bensì di una costante di tutte le feste del tempo. Per esempio, il Capoposto dei Carabinieri Reali annota la presenza di molti vessilli tricolori nel paese di Vinci, già in occasione del Volo di Cecco Santi dell’anno precedente (3 giugno 1860), forse per compensare il fatto, al termine del lungo verbale, che quel fantoccio vestiva i panni e i colori di un soldato asburgico. E chissà se i maliziosi vinciaresi del tempo, oltre a gettare via il maligno che dentro ognuno di noi alloggia nelle fattezze del fantoccio secondo il senso sacro della festa, non avessero voluto gettare anche l’altro Cecco, imperatore asburgico, in piena verve profana e risorgimentale?
Per saperne di più: Nicola Baronti “Il miracolo del SS. Crocifisso di Vinci. Storie e leggende sul Volo di Cecco Santi”, con documenti e un inedito saggio di Renzo Cianchi, V Quaderno Archivio VNC 2015
Nicola Baronti